I Quaranta giorni della Quaresima non vanno confusi con una quarantena, neppure al tempo del Covid-19. Sono giorni per riunire, non per separare. Sono per condividere la nostra vulnerabilità, nella convinzione che l’essere umano è ospite – non padrone – della vita di tutti. E la vita di tutti – compresa la nostra morte – è destinata all’ospitalità di Dio, che ci chiede semplicemente di non precluderla a nessuno. Lo spirito delle Beatitudini apre una via per la società civile.

L’illusione di diventare signori assoluti della vita non significa affatto averne più cura. L’assuefazione al pensiero di un dominio tecnico totale dell’esistenza, come se l’immunità perfetta dalla malattia e dalla morte fosse soltanto questione di tempo e di mezzi, ci rende ogni giorno più vulnerabili "dentro" (e anche "fuori"). La demoralizzazione comunitaria del principio-solidarietà, che cresce insieme con l’ossessione individuale del principio-autonomia, ci conduce rapidamente a varcare la soglia sottile che separa il passaggio dall’indifferenza irresponsabile («Non è un mio problema») alla paura incontrollabile («Si salvi chi può»). La dignità della vita umana condivisa, che cura le ferite, affonda con la nostra ossessione del benessere totale, che scarta i feriti. Che cosa sono il bene e il male, la verità e la menzogna, la giustizia e la prepotenza, l’ospitalità e la persecuzione, la comunità e la guerra, di fronte alla paura – vera o presunta – di rimanere senza cibo, senza pillole, senza smartphone?

Scambiare il legame comunitario con l’autonomia individuale non è stato un grande affare. I due si sostengono a vicenda nel coraggio, o affondano insieme nella paura. La nostra lotta contro l’avvilimento della vita umana piegata dalla diffusione epidemica della fame, della droga, della schiavitù – tutte malattie mortali – ne viene forse rinvigorita? Quando tutti possono fare qualunque cosa, della vita, senza riguardo per la comunità, la comunità non può fare più niente per sé stessa. E per noi.

Viviamo dunque nella società del rischio. Come ci aveva insegnato, già molti anni fa, il grande sociologo Ulrich Beck. Per quanto potenti e ben organizzate, anche le società avanzate rimangono vulnerabili. La novità sta nella natura e nella portata dei rischi. A differenza del pericolo, che percepiamo attraverso i sensi, il rischio è più difficile da riconoscere e valutare. Della sua pericolosità sappiamo solo grazie agli strumenti di analisi di cui disponiamo. L’esperienza – personale e collettiva – non basta. Così, è vero che grazie alla scienza sappiamo molto di più e possiamo difenderci meglio. Ma questa maggiore consapevolezza ha anche un risvolto problematico. Il singolo cittadino non è uno scienziato. Per capire cosa sta accadendo deve affidarsi agli esperti che, in genere, hanno valutazioni diverse. Ma, soprattutto, il nostro cittadino è in balia di ciò che circola nella infosfera, dove ascolta le voci (variegate) delle istituzioni, della comunità scientifica, dei media tradizionali, dei social. In un marasma di notizie, più o meno accurate, tra le quali è difficile districarsi.

Quando il rischio si fa concreto, diventa emergenza. Come in questi ultimi giorni, quando il numero delle infezioni e dei morti da Covid-19 – pur limitatissimo – ha trasformato qualcosa di lontano in un fatto tangibile e vicino. Ecco che allora la paura cresce, spingendo verso un riordino delle priorità. Fino al punto – davvero impensabile fino a qualche giorno fa – di fermare tutto il Nord Italia.

Decisione giusta o eccessiva? La discussione è aperta.

Prendere o lasciare: la globalizzazione non conosce vie di mezzo. Lo sapevamo già, almeno in teoria, ma è nei giorni dell’emergenza da Covid-19 che ce ne stiamo rendendo conto veramente. È come se vicino e lontano avessero cambiato di posto e tutto, all’improvviso, fosse qui e da nessuna parte, a portata di mano e irraggiungibile nello stesso tempo. Non troppo tempo fa le distanze erano chiare, le gerarchie rispettate. Quanto tempo fa, esattamente? Prendiamo il 1960, se non altro per amore della cifra tonda. Nell’anno delle Olimpiadi di Roma per qualche settimana si ha l’impressione che l’Italia sia di nuovo al centro del mondo, ma poi le delegazioni se ne tornano in patria, gli atleti salutano dalla scaletta dell’aereo con il loro carico di medaglie oppure di delusioni, e gli italiani si rimettono all’opera per dare consistenza al boom economico locale. Pochissimi i viaggiatori, all’epoca, e più per necessità che per diletto. Il 1960 è anche, per una curiosa combinazione, l’anno di Un mandarino per Teo, classica e addirittura proverbiale commedia musicale di Garinei & Giovannini incentrata su un dilemma morale sminuzzato a beneficio dello spettatore più ingenuo: ecco un pulsante, se lo premi in Cina muore un mandarino e tu diventi ricco, che cosa scegli di fare? D’accordo, quello che viene evocato è un Oriente da operetta o, se si preferisce, à la Jules Verne, nello stile delle Tribolazioni di un cinese in Cina. Quel che più conta, nello specifico, è la distanza percepita, che continua ad apparire insormontabile. Con Pechino e dintorni Teo non ha nulla a che fare, per questo può agire in modo tanto spensierato.

Una Giornata della Fratellanza Umana, da celebrare il 4 febbraio di ogni anno, e un summit mondiale dedicato allo stesso tema: queste le richieste presentate alle Nazioni Unite dagli esponenti delle tre religioni rivelate, riuniti nel Comitato Superiore creato lo scorso 20 agosto 2019 per raggiungere gli obiettivi contenuti nel Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune (Abu Dhabi 4 febbraio 2019).

Lo si legge in un comunicato del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Il Comitato "è attualmente composto da membri cristiani, musulmani ed ebrei, e presieduto dal Cardinale Miguel Angel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso".

Mercoledì l'incontro a New York con il segretario generale delle Nazioni Unite, Antònio Guterres, per la consegna di un messaggio di papa Francesco e del Grand Imam di Al-Azhar Ahmed Al-Tayyeb. Nel messaggio si propone "che il 4 febbraio sia dichiarato Giornata Mondiale della Fratellanza Umana e si chiede alla Nazioni Unite di partecipare, assieme alla Santa Sede e ad Al-Azhar, all'organizzazione, in un prossimo futuro, di un Summit mondiale sulla Fratellanza Umana". 

«Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni, in particolare, non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le culture. È giunto il tempo in cui le religioni si spendano più attivamente, con coraggio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace». Con questa visione il 4 febbraio 2019, papa Francesco e il grande imam di Al-Azhar Ahamad al-Tayyeb hanno siglato in terra d’Arabia il documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Una dichiarazione scaturita «dalla fede in Dio che è Padre di tutti» seguendo «lo spirito del Concilio Vaticano II.

Del resto nella sua enciclica sociale Caritas in veritate anche Benedetto XVI aveva indicato «l’ideale cristiano di un’unica famiglia dei popoli, solidale nella comune fraternità» «l’ideale cristiano di un’unica famiglia dei popoli, solidale nella comune fraternità». E l’espressione fraternité universelle era già uscita dalla sua penna quattro anni prima, subito dopo la beatificazione di Charles de Foucauld, che aveva dedicato la vita alla testimonianza tra i musulmani e per il quale quell’espressione era diventata un leitmotiv: «Cristo ci invita alla fratellanza universale». E certamente la Dichiarazione ha segnato un tentativo importante per riannodare cammini di condivisione e prossimità tra i battezzati e i membri dell’Umma di Muhammad, nella concretezza dei contesti storici, a vantaggio dell’intera famiglia umana. Ne sembrano consapevoli gli stessi due co-firmatari, a giudicare dalla sollecitudine con cui sia il Vescovo di Roma che lo sheikh Ahmed al-Tayyeb hanno invitato a studiare il documento nelle scuole, nelle università e nei circoli politici e lo attestano le numerose iniziative che da questa sono scaturiti e i progetti messi in campo dal Comitato per l’attuazione del documento.

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