L'attivista democratico: la polizia spara sui cittadini, arresta giornalisti e infermieri, costringe gli studenti a rifugiarsi nelle università. Non si può restare a guardare. Italia compresa
   
«A Hong Kong c’è una crisi umanitaria. La polizia spara sui cittadini, arresta giornalisti e infermieri, costringe gli studenti a rifugiarsi nelle università. Il mondo non può restare a guardare. Italia compresa. Dovete prendere posizione, appoggiare il nostro popolo, la nostra lotta per la democrazia». Joshua Wong (attivista per la democrazia, ndr) non sembra sorpreso della decisione del tribunale di confermare il «no» al permesso di espatriare. È in attesa del processo di appello, in libertà provvisoria, ogni volta deve chiedere il permesso. A settembre, per andare in Germania, glielo diedero. Stavolta, per venire in Italia ospite della Fondazione Feltrinelli e ritirare un Premio, no. 

«Me l’aspettavo. I tribunali ora sono sotto pressione, dopo la decisione della Corte Suprema di dichiarare l’incostituzionalità della legge contro l’uso delle maschere durante le manifestazioni. Una sentenza coraggiosa che è stata già criticata da Pechino e che creerà molti problemi ai magistrati. Dire che me l’aspettavo tuttavia non significa dire che l’accetti e che mi rassegni. Impedirmi di viaggiare, significa impormi delle pene accessorie prima ancora di aver subito una condanna definitiva. Inaccettabile. Non è questa la giustizia alla quale eravamo abituati. È la prova che il famoso “un Paese due sistemi” non funziona, è già morto e sepolto»

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Caro direttore, 
la Giornata del diritti dell’infanzia che celebreremo domani, a trent’anni dalla Convenzione Onu del 20 novembre 1989, offre l’occasione per riflettere su quale sia davvero il best interest dei bambini. Le polemiche – spesso di stampo ideologico – aperte dai casi recenti (come quelli della Val d’Enza) spingono a confrontarsi per ascoltare la voce delle famiglie affidatarie. Chi si è fatto carico di un bambino/a o di un adolescente in difficoltà, che la famiglia fatica a curare e far crescere, sa che il compito è arduo. Non è una responsabilità che ci si assume a cuor leggero, né tanto meno per denaro.

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Venezia sommersa dall’alta marea e Taranto soffocata dalle polveri. L’una abbandonata al proprio destino di sprofondo, l’altra lasciata sola per l’ennesima volta dal disimpegno imprenditorle. Venezia che muore e Taranto che si spegne rappresentano oggi, loro malgrado, le città simbolo della sofferenza, del contrasto fra uomo e natura e dell’apparente inguaribilità dai propri mali. Come se un ineluttabile fato ci spingesse verso il declino.

E portasse troppi di noi a metterlo definitivamente in conto, a darlo per scontato. Venezia, senza difese adeguate, al più tardi nel 2100 sarà sommersa; Taranto assai prima, con la fuga di Arcelor Mittal e senza più la grande manifattura, sarà una cittadina fantasma, depressa. Così, già nelle cronache di questi giorni, nel rincorrersi dei commenti a perdere di tanti politici, nei contrasti che subito si sono levati tra un gruppo e l’altro di cittadini, si intuisce come questa presunta ineluttabilità del declino abbia contagiato l’immagine che abbiamo di queste due città. E si instilli come gocce di veleno paralizzante nel sangue degli stessi abitanti che non nutrono più fiducia né in un aiuto esterno né nella propria capacità di cambiare le cose.

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Ero solo un bambino quando mia madre mi disse che non avrebbe voluto vedere il film "Parigi brucia?" di René Clément perché c’erano delle scene che le facevano ricordare la sua deportazione verso la Germania, a cui riuscì a fuggire scappando durante la sosta del treno alla stazione ferroviaria di Udine il 2 agosto 1944. Non potevo capire. Ho impiegato del tempo. Ma oggi a bruciare sono le parole: quelle che ogni generazione sarebbe chiamata a riconquistare per trovare almeno la dignità di stare al mondo.

La vicenda di Liliana Segre, costretta addirittura ad avere la scorta, segna una deriva culturale profonda: se nelle aule del Parlamento italiano una storia come la sua subisce la strumentalizzazione a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi significa che qualcosa, fuori e dentro di noi, si è spezzato.

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Sono grato agli amici lettori che hanno ragionato con dolore, pacatezza e forza sull’incredibile e drammatica vicenda delle minacce scagliate a raffica contro Liliana Segre, senatrice a vita per decisione del presidente Mattarella e testimone della Shoah e delle vie di civiltà e di pace che dobbiamo saper costruire e difendere.

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