Ero solo un bambino quando mia madre mi disse che non avrebbe voluto vedere il film "Parigi brucia?" di René Clément perché c’erano delle scene che le facevano ricordare la sua deportazione verso la Germania, a cui riuscì a fuggire scappando durante la sosta del treno alla stazione ferroviaria di Udine il 2 agosto 1944. Non potevo capire. Ho impiegato del tempo. Ma oggi a bruciare sono le parole: quelle che ogni generazione sarebbe chiamata a riconquistare per trovare almeno la dignità di stare al mondo.
La vicenda di Liliana Segre, costretta addirittura ad avere la scorta, segna una deriva culturale profonda: se nelle aule del Parlamento italiano una storia come la sua subisce la strumentalizzazione a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi significa che qualcosa, fuori e dentro di noi, si è spezzato.
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