“Siate benedetti tutti, voi uomini e donne, di ogni popolo e lingua…”

“… Con gentilezza”. È così che si intitola il discorso alla città che l’Arcivescovo Mario Delpini ha tenuto, come da tradizione, in occasione dei vesperi di Sant’Ambrogio. Un discorso bello e ricco, da leggere integralmente. Rivolto ai politici, agli amministratori della cosa pubblica, ma anche a quanti hanno a cuore il bene comune, il bene di ciascuno e di tutti.
Il titolo parla di “gentilezza” per dire che il bene comune lo costruiamo non solo attraverso virtù irrinunciabili e non sempre così scontate come “l’onestà, il discernimento, la prudenza, la fortezza, la mitezza, il senso dell’umorismo”, ma anche attraverso uno stile, un modo di porci e di atteggiarci che non finiremo mai di affinare. Scrive Delpini: “per gentilezza non intendo solo le buone maniere, ma quell’espressione della nobiltà d’animo in cui si possono riconoscere … la finezza nell’apprezzare ogni cosa buona e bella, la fermezza nel reagire all’offesa e all’insulto con moderazione e pazienza”. E, parlando della necessità di offrire ai giovani buone ragioni per desiderare di diventare adulti, così continua: “La gentilezza della conversazione è capace di quell’umorismo milanese che sdrammatizza con benevolenza, corrode i miti del grandioso, sa prendere le distanze dalle mode imposte dai social, si prende gioco della presunzione dell’esibizione”.
“Arte e tecnica del capo”: così si intitolava un libro degli anni ’60 rivolto ai “capi” degli scout, a dire che per essere autentici educatori è richiesta una “tecnica”, delle abilità, delle competenze. Contemporaneamente ci vuole anche un’ “arte”, che l’Arcivescovo Delpini traduce col concetto di “gentilezza”. E così mi piace pensare che questa riflessione possa e debba valere per ciascuno di noi, impegnati a diventare sempre più “capi” di noi stessi, per arrivare ad assumere ruoli di responsabilità. Una responsabilità che significa “promuovere la partecipazione di tutti alla vita della comunità e dell’intera società civile”, iniziando dal contrastare la scarsa partecipazione degli elettori nelle elezioni amministrative e riconoscendo che l’accoglienza di persone provenienti da altri Paesi non è solo carità, ma scommessa che “ogni tradizione offre un contributo per la società di domani, la Chiesa di domani, la comunità di domani”.
Chiamati dunque ad essere amministratori della nostra vita, delle nostre relazioni, delle nostre responsabilità. Consapevoli del “potere” che abbiamo di rendere più bella la vita di chi ci sta attorno e per questo definiti come “artigiani del bene comune” in grado di poter dire al termine di ogni nostra giornata “ho fatto quello che ho potuto, ho fatto quello che dovevo fare”. Per questo meritevoli di una benedizione che viene espressa con queste parole conclusive: “Siate benedetti tutti, voi uomini e donne, di ogni popolo e lingua, di ogni condizione e in ogni situazione: il nostro santo patrono Ambrogio vi incoraggi con il suo esempio, interceda per voi presso Dio e vi raduni come un popolo che sa lavorare, sa sperare e sa cantare”.

Don Roberto Davanzo

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«Ho trovato nella vicenda dell’apostolo Paolo una testimonianza persuasiva della potenza dello Spirito che rende possibile attraversare ogni situazione come occasione per la missione».  
L’incipit del testo ci fa cogliere in modo immediato l’intenzione che ha guidato il nostro Arcivescovo nel donarci le linee per il prossimo anno pastorale: imparare a fare nostra l’attitudine contemplativa con cui l’Apostolo guardava alle sue comunità, cogliendo ciò che è poco visibile agli occhi del mondo, ma al contrario risulta molto nitido e delineato allo sguardo della fede. In un momento di cambiamenti forti e rapidi – come la crisi di governo di questi giorni, inconsueta per tempi e modalità – la proposta dell’Arcivescovo per il prossimo anno pastorale è tutta concentrata in una parola: mostriamo meglio a noi stessi e agli altri come il cristianesimo sia anzitutto uno stile. La fede cristiana è un’esperienza così profonda da mutare comportamenti e attitudini, fino a toccare inclinazioni e sensibilità. Si tratta di non avere paura del cambiamento, ma al tempo stesso di non farlo assurgere a legge imprescindibile; si tratta di collocarci dentro una tradizione e una memoria che plasmano le nostre identità, ma al tempo stesso senza fare del passato uno scafandro impermeabile alle trasformazioni. Lo stile cristiano è lo stile di chi affronta l’inedito senza lasciare che le emozioni – e la violenza che contengono e sprigionano – prendano il sopravvento. È lo stile di chi riesce sempre a cogliere il bene che ci sta davanti, proprio perché siamo sicuri che è lo Spirito di Dio a guidarci dentro la storia. Al riguardo, l’apostolo Paolo è un buon maestro e pedagogo da cui lasciarci guidare, ci suggerisce il nostro Arcivescovo, proprio nella sua Lettera ai cristiani di Filippi. Incarcerato, è capace di non lasciarsi dominare dalla situazione contingente per continuare a rivestire i panni dell’araldo e del padre, tutto concentrato perché la missione che ha ricevuto nel momento della conversione non ne esca indebolita o ridimensionata. L’apostolo Paolo non si lascia distrarre dalle sofferenze e dai patimenti, ma rimane tutto proteso verso le comunità nate dalla sua predicazione, convinto che soltanto dentro questo legame di paternità la sua esperienza di fede può continuare il cammino intrapreso e giungere al porto sospirato. L’incontro con Cristo risorto è stato per lui così determinante e profondo che nessuna esperienza – nemmeno la più negativa e atroce – lo può distogliere dal legame che si è creato. Al contrario, ogni situazione può diventare l’occasione giusta per mostrare a sé e agli altri la potenza generatrice e trasfigurante del legame con Cristo. La situazione è occasione, come già nel titolo la proposta dell’Arcivescovo enuncia in modo chiaro. A questo principio si ispira anche il concetto del testo. Non più un discorso unico e concatenato, ma una serie di prese di parola – di lettere, appunto – che hanno lo scopo di ricordarci anche linguisticamente che ogni situazione, ogni tempo e ogni evento dell’anno possono essere l’occasione giusta per la crescita della nostra fede e della nostra testimonianza. In piena tradizione apostolica, il nostro Arcivescovo ci fa dono di lettere che accompagnano il quotidiano della nostra fede per stimolarla e tenerla desta nel suo compito di discernimento e di guida. Il metodo per discernere è semplice e chiaro: si tratta – come per l’Apostolo Paolo – di radicarci continuamente nell’ascolto della Parola di Dio. Un ascolto che genera la Chiesa: la Parola non la si ascolta e legge in modo individuale e isolato; al contrario la si celebra nella liturgia e nell’assemblea, lasciando che proprio da questa azione le comunità cristiane escano più vive e rafforzate. «Io sono persuaso – ci dice il nostro Arcivescovo – che ogni pagina della Scrittura sia come un pozzo, secondo l’immagine patristica. Sempre vi si può attingere acqua fresca per ogni sete. Ma si deve andare in profondità, è necessario accedere attraverso ogni testo all’unico mistero, unitario, affascinante, inesauribile». Ascolto, preghiera comune, rendimento di grazie, riconoscimento reciproco, primato ai poveri: sono queste le basi per dare alla nostra presenza dentro il quotidiano le energie di cui ha bisogno per vivere quel mutamento d’epoca che nelle nostre terre ambrosiane ha preso il volto di “Chiesa dalle genti”. «La nostra Chiesa diocesana sta assumendo un volto nuovo. Solo la freschezza e la potenza dello Spirito può rendere le nostre comunità presenza di luce, parola di consolazione, messaggio di speranza, casa accogliente di fraternità». In terre in cui l’inquietudine per il futuro rischia di inaridire le tante e tradizionali sorgenti di carità e di fratellanza. In terre in cui il perdurare di una crisi non soltanto economica, ma soprattutto antropologica fa intravedere l’agglutinarsi di scenari di violenza e di sordità al bisogno e al dolore, il ruolo delle comunità cristiane rimane quello di sempre, quello che ci è stato consegnato dalla tradizione più profonda e vera: essere luoghi di umanizzazione, fonti di solidarietà, spazi in cui sperimentare la gioia e la bellezza del disegno originario della creazione, quello voluto da Dio per rivelarsi a noi come Padre. Come ai tempi di Sant’Ambrogio, con lo stesso stile: si tratta di trasformare la situazione in occasione, i tanti frammenti dispersi nel disegno ordinato e armonico che solo in Gesù Cristo possiamo realizzare
di Mons. Luca Bressan
Vicario Episcopale per Cultura, carita’, missione e azione sociale 
Da Avvenire, Milano Sette, Domenica 1 Settembre

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