«Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni, in particolare, non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le culture. È giunto il tempo in cui le religioni si spendano più attivamente, con coraggio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace». Con questa visione il 4 febbraio 2019, papa Francesco e il grande imam di Al-Azhar Ahamad al-Tayyeb hanno siglato in terra d’Arabia il documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Una dichiarazione scaturita «dalla fede in Dio che è Padre di tutti» seguendo «lo spirito del Concilio Vaticano II.

Del resto nella sua enciclica sociale Caritas in veritate anche Benedetto XVI aveva indicato «l’ideale cristiano di un’unica famiglia dei popoli, solidale nella comune fraternità» «l’ideale cristiano di un’unica famiglia dei popoli, solidale nella comune fraternità». E l’espressione fraternité universelle era già uscita dalla sua penna quattro anni prima, subito dopo la beatificazione di Charles de Foucauld, che aveva dedicato la vita alla testimonianza tra i musulmani e per il quale quell’espressione era diventata un leitmotiv: «Cristo ci invita alla fratellanza universale». E certamente la Dichiarazione ha segnato un tentativo importante per riannodare cammini di condivisione e prossimità tra i battezzati e i membri dell’Umma di Muhammad, nella concretezza dei contesti storici, a vantaggio dell’intera famiglia umana. Ne sembrano consapevoli gli stessi due co-firmatari, a giudicare dalla sollecitudine con cui sia il Vescovo di Roma che lo sheikh Ahmed al-Tayyeb hanno invitato a studiare il documento nelle scuole, nelle università e nei circoli politici e lo attestano le numerose iniziative che da questa sono scaturiti e i progetti messi in campo dal Comitato per l’attuazione del documento.

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