Nelle sale il film di Gianni Aureli, sui giovani che si opposero al fascismo e continuarono a vivere in clandestinità per portare avanti i propri valori e difendere la vita di migliaia di persone
Un'immagine tratta dal film “Aquile Randagie” con la regia di Gianni Aureli (Matteo Bergamini/Scout)

Il coraggio crea un mondo migliore. É il caso di Aquile randagie, il film di Gianni Aureli, sul gruppo di giovani scout che si opposero al fascismo e continuarono a vivere la clandestinità per portare avanti i propri valori e difendere la vita di migliaia di persone. Diviso tra due assi temporali, il 1928 e la fine della Seconda guerra mondiale, Aquile Randagie (in sala dal 30 settembre al 2 ottobre con 200 copie grazie a Istituto Luce Cinecittà) ha la particolarità di avere ricevuto attenzione e sostegno anche del web, attraverso il meccanismo del crowdfunding (Produzioni dal Basso e CentoProduttori) fino a raggiungere circa 500 investitori privati, con il contributo di Mibac e della Lombardia Film Commission, della banca BPER e delle associazioni cattoliche Agesci e Masci.

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Caritas e Migrantes: integrazione in crescita, basta con discriminazioni e paure create ad arte. Le comunità più numerose sono quelle romene e albanesi

Nonostante l’odio, il razzismo crescente e la paura, l’integrazione dei migranti è in crescita. Sempre in mezzo a discriminazioni e a problemi, ma ormai i dati raccontano il consolidamento di un’Italia nuova, perlopiù ignorata, al top in Europa per l’acquisizione di nuovi cittadini. Il rapporto immigrazione 2018-19 di Caritas e Migrantes inquadra il nostro Paese nella grande cornice del secolo della mobilità, in crescita dal 2000 fino ad arrivare agli oltre 257 milioni di migranti del mondo del 2017, ultimo dato disponibile. Numeri e fatti sono argomenti testardi e l’indagine insiste sulle cifre esatte. Distorsione e violenta propaganda xenofoba sono quelle che lo studioso Mario Morcellini definisce “operazioni di ipertensione sociale”.

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La prima lei, una ragazza di 10 anni, che stava per lanciarsi nel vuoto, è stata salvata da due poliziotte fuori servizio. La seconda lei, una donna di 52 anni che cercava di uccidersi nel Tevere, è stata salvata da un carabiniere che nelle sue ore libere si stava allenando su quel fiume con la canoa. Sono due fatti di straordinaria sofferenza e di ordinaria umanità che ci sono state consegnati ieri dalla cronaca, a Roma, proprio mentre la Corte costituzionale stava per sancire, con una sua sentenza che in tanti speravamo di non dover mai commentare, l’apertura condizionata al «suicidio assistito».

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È la libertà di scelta il terreno su cui si gioca la partita dei cosiddetti nuovi diritti, e in questo senso l’eutanasia è quello per eccellenza, perché riguarda solo chi la chiede per sé, e non altri. E se la morte on demand si realizza con il suicidio assistito, dove il medico non fa iniezioni né stacca macchinari (come avviene per l’eutanasia), ma deve solo fornire il prodotto letale da bere, la presunta libertà personale sembra ancora più evidente: io chiedo la morte e me la dò da solo. Quando, come e dove voglio. Mi basta un aiuto (anche se in realtà questo 'aiuto' comporta comunque la rimozione del principio dell’inviolabilità della vita altrui).

Ma che cosa è la libertà di scelta? Facciamo un esempio. Se vedo una persona che sta per gettarsi da una finestra al quinto piano, penso che si voglia uccidere. Ma se allargando lo sguardo vedo che dietro ci sono fumo e fiamme, allora capisco che invece vuole vivere, e pensa che la finestra sia l’unica via d’uscita: la sua è una decisione personale, ma determinata dalle circostanze, e quelle non le ha volute. Parlare di libera scelta senza considerare le circostanze è un’astrazione, perché possiamo decidere molto della nostra esistenza, ma a indirizzare le scelte sono le condizioni della vita, e quelle non le stabiliamo noi. Possiamo però lavorare per renderle più favorevoli – continuando l’esempio, dotando il palazzo di scale antincendio.

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Diversi anni fa fece discutere la decisione di una nota rivista di ecologia di abbandonare l’uso di carta riciclata per tornare alle pagine patinate. Si era infatti scoperto che riciclare la carta produceva alte emissioni di diossina, mentre il processo di produzione tradizionale poteva essere considerato più sostenibile. Col tempo le tecniche si sono evolute e la carta riciclata è diventata un prodotto vantaggioso e a bassissimo impatto ambientale. Questo esempio può essere utile per capire che quando si parla di ecologia e di sostenibilità andrebbero sempre valutati diversi fattori. Da un lato bisognerebbe guardare più alla sostanza di una scelta che lasciarsi condizionare da automatismi frutto spesso di visioni ideologiche; dall’altro si dovrebbe però anche avere fiducia nel fatto che le buone intenzioni vanno incoraggiate affinché possano condurre a quel salto tecnologico necessario a renderle vantaggiose.

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