La recezione del Concilio Vaticano II, nonostante i più di cinquant'anni trascorsi dalla sua conclusione, non ha ancora finito di dare frutti nella Chiesa, come si vede dalla Lettera apostolica di papa Francesco, Aperuit illis, con la quale si istituisce la Domenica della Parola di Dio. Non è una decisione da poco un atto che dedica un’intera Domenica a far festa attorno alla Parola di Dio. In una certa misura, è qualcosa di analogo al Corpus Domini, solennità così radicata nel sentire del popolo cristiano, istituita nel 1264 da Urbano IV per incrementare la devozione all’Eucarestia. Il Concilio, infatti, nella costituzione dogmatica Dei Verbum ricorda: «La Chiesa ha sempre venerato le Divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra Liturgia, di nutrirsi del Pane della vita della mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo…».

Questa coscienza si è sviluppata, con forza, soprattutto dopo il Vaticano II che – come afferma Francesco – «ha dato un grande impulso alla riscoperta della Parola di Dio…». Basterebbe ricordare come, con la riforma liturgica, il popolo ha cominciato ad ascoltare le letture della Bibbia nella propria lingua. Un grande appassionato di lectio divina, il monaco Mariano Magrassi, affermava che attraverso questa riforma e la lingua parlata, il Concilio è arrivato al popolo di Dio.

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Le difficoltà della Chiesa di riconoscersi nelle democrazie moderne hanno prodotto un Occidente secolarizzato. Ma la crisi democratica può trovare una soluzione attraverso la missione della Chiesa

Dopo il crollo del muro di Berlino e della Cortina di ferro lo sguardo si è aperto ben oltre l’Europa, e si è sviluppato il sogno di un mondo unito. Si è sviluppata una "globalizzazione", cioè una rete internazionale mondiale a livello economico, finanziario, dei mezzi di comunicazione, della tecnologia e del turismo. Ma questo nuovo universalismo è rimasto a livello materiale, funzionale, economico, tecnico; è mancato un universalismo più profondo, spirituale e solidale. Così la vittoria della libertà è divenuta una vittoria della mentalità dello sviluppo economico e del capitalismo talvolta feroce e aggressivo nell’emisfero Sud, che ha portato come reazione a movimenti di antiglobalizzazione, anch’essi talvolta violenti.

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In un'epoca di influencer e massificazione, due saggi di Gorini e Zagrebelsky delineano le prospettive per pensare a una scuola autorevole e capace di formare alla vita e alla libertà intellettuale

C’è una poesia di Vittorio Sereni, intitolata Il grande amico, che recita così: «Un grande amico che sorga alto su di me / e tutto porti me nella sua luce / che largo rida ove io sorrida appena / e forte ami ove io accenni a invaghirmi». Più che di “amico”, questa è la definizione di “maestro”. Non a caso Gustavo Zagrebelsky parte proprio da questi versi del poeta di Luino per svolgere un’approfondita riflessione sull’essenza, sul ruolo e sulla presenza dei “maestri” nella società di oggi. Lo fa in un saggio pubblicato dal Mulino, Mai più senza maestri (pagine 160, euro 14,00). L’autore, già presidente della Corte costituzionale e docente di Diritto all’Università di Torino, parte dal significato letterale del vocabolo, per riflettere su come il concetto si sia sminuito nel tempo, e specialmente in questi nostri tempi travagliati: « Magister (con i derivati: maestro, mastro, master, maître) è generato da magnus e da magis, dalla radice magh, comune nelle lingue indeuropee. Indica qualcosa di grande in tutti i sensi della parola: magno, magnifico, mago, maggio (il mese di Maia, la dea dell’abbondanza)».

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Partiti da un'iniziativa di Greta Thunberg, che il 20 agosto 2018 a Stoccolma cominciò il primo sciopero per il clima (durato fino al 9 settembre), sono diventati un appuntamento mondiale
(LaPresse)

Chi scende in piazza?

Venerdì 27 settembre scendono in piazza i giovani dei “Fridays for future”, gruppi di attivismo ambientale che si rifanno alla giovane svedese. Dopo il 15 marzo e il 20 maggio quello di venerdì sarà il terzo “Global strike for future”, lo sciopero globale per il clima in cui tutti sono chiamati ad alzare la voce contro l’emissione dei gas serra e una svolta green dell’economia per salvare il pianeta. A differenza dei primi due scioperi, alla mobilitazione di venerdì hanno aderito anche alcune sigle sindacali, come la Cisl e la Cgil e numerose aziende private. Sono previsti cortei, sit-in davanti ai palazzi governativi, Comuni e Regioni, in circa 180 città d’Italia. Ma potrebbero essere di più. Mentre sono già 350 i Paesi in tutto il mondo che hanno aderito al movimento della giovane attivista svedese.

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Fridays For Future è un movimento che va preso sul serio perché, forse persino aldilà della consapevolezza dei suoi attori, sta dicendo qualcosa di importante al nostro mondo, portando alla luce una critica di cui chi sta all’interno dell’ordine normale delle cose (noi adulti) sembra non riuscire a riesce a cogliere portata e urgenza. Bisogna saper discernere. Ma sarebbe sbagliato non ascoltare. In fondo, è la prima volta dal 1968 che le nuove generazioni si organizzano per protestare contro il mondo degli adulti. Un mondo che, formatosi proprio negli ultimi cinquant’anni, oggi si scontra con una serie di gravi contraddizioni. Nel 1968 si protestò contro l’autorità, il paternalismo, la rigidità dei modelli di vita; oggi la protesta è centrata sui temi del riscaldamento globale, degli stili di vita, della distruzione dell’ecosistema.

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