In un'epoca di influencer e massificazione, due saggi di Gorini e Zagrebelsky delineano le prospettive per pensare a una scuola autorevole e capace di formare alla vita e alla libertà intellettuale

C’è una poesia di Vittorio Sereni, intitolata Il grande amico, che recita così: «Un grande amico che sorga alto su di me / e tutto porti me nella sua luce / che largo rida ove io sorrida appena / e forte ami ove io accenni a invaghirmi». Più che di “amico”, questa è la definizione di “maestro”. Non a caso Gustavo Zagrebelsky parte proprio da questi versi del poeta di Luino per svolgere un’approfondita riflessione sull’essenza, sul ruolo e sulla presenza dei “maestri” nella società di oggi. Lo fa in un saggio pubblicato dal Mulino, Mai più senza maestri (pagine 160, euro 14,00). L’autore, già presidente della Corte costituzionale e docente di Diritto all’Università di Torino, parte dal significato letterale del vocabolo, per riflettere su come il concetto si sia sminuito nel tempo, e specialmente in questi nostri tempi travagliati: « Magister (con i derivati: maestro, mastro, master, maître) è generato da magnus e da magis, dalla radice magh, comune nelle lingue indeuropee. Indica qualcosa di grande in tutti i sensi della parola: magno, magnifico, mago, maggio (il mese di Maia, la dea dell’abbondanza)».

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