Si, sono un prete con il camice da dottore. E quando girando in corsia, un ammalato mi confonde con un medico, scherzando gli rispondo “Si, sono un dottore dell’anima”. È dal 2016 che faccio il cappellano all’Ospedale di Sesto San Giovanni.

La pandemia da Covid-19 a partire dal 23 febbraio 2020 ha stravolto la vita del nostro presidio ospedaliero: nel giro di pochi giorni l’ospedale ha assunto una nuova fisionomia, i reparti di Medicina e Subacuti sono diventati reparti interamente coronavirus, e così anche la Terapia Intensiva, mentre quella che prima era la Chirurgia è diventato il reparto omnicomprensivo “non-covid”.

Anche la mia vita è stata stravolta. Non ho più potuto svolgere il mio compito di sacerdote come prima: camici su camici, mascherine (più d’una), visiera, guanti , impossibilità di girare nei reparti covid a fronte di così tante persone malate e sole, a fronte di così tanti che morivano senza la compagnia dei propri cari. Ho dovuto reinventarmi gesti di prossimità al personale sanitario e di assistenza spirituale ai malati in condizioni impensabili. Ho iniziato ad andare ogni giorno negli atri degli ascensori dei reparti covid a pregare per i malati, ad assolvere i morenti e a benedire tutti con la teca dell’Eucarestia.

Da subito mi ha colpito il desiderio del personale medico e infermieristico di fare una breve pausa per dire una preghiera insieme. Ha scritto Susanna, una delle mie infermiere: “Molto fiera e grata per aver partecipato durante il turno alla bellissima preghiera collettiva con le infermiere … Tanta speranza”. E il suo collega Vincenzo: “Mi porterò dentro per sempre le benedizioni del nostro cappellano e le telefonate dei parenti che ci chiedono di stringere le mani dei loro cari… Sensazioni indescrivibili”.

Non potendo nemmeno incontrare i parenti delle persone defunte nel nostro ospedale, come avveniva prima dell’epidemia, per un momento di consolazione e di preghiera per i loro cari, ho chiesto alla Direzione Medica di poter contattare telefonicamente tutti i parenti , per esprimere il cordoglio di tutto il personale dell’ospedale e dire loro che sarei passato a benedire il corpo dei loro congiunti. Tutti mi hanno ringraziato per questo gesto di attenzione e vicinanza umana “Grazie, Padre: ha ridato dignità a mia moglie”, mi ha detto Piero, un anziano signore che ha perso in tre giorni la sua cara Giovanna dopo sessant'anni di matrimonio. E tanti mi hanno ringraziato per aver pregato nella Santa Messa per loro: “noi non abbiamo potuto nemmeno vederlo, celebrare il funerale con tutti i suoi cari”.

Mi ha molto colpito il desiderio di Dio che ho trovato nelle persone. Quasi tutti e hanno desiderato recitare una preghiera con me, i moltissimi anziani ma anche i più giovani. In queste ultime settimane ho sperimentato che c’è un gran desiderio di Dio, un desiderio che emerge proprio nella condizione così fragile di una malattia che ti fa sperimentare in vario modo la solitudine. Il momento più commovente è stato per me la breve telefonata con don Franz, sacerdote della diocesi di Cremona ricoverato da più di due mesi, il pomeriggio del Giovedì Santo: “Celebra anche per me che non posso celebrarla, questa sera, la Messa in Coena Domini”.

C’è grande sofferenza nel mio cuore per il fatto che non posso accostarmi ai letti dei malati di coronavirus. Ma siamo chiamati ad essere santi, non eroi. Cerco perciò di fare tutto il possibile, l’impossibile lo affido al Signore davanti al Tabernacolo. Mi conforta il fatto che sto svolgendo questo compito di cappellano per obbedienza, non per desiderio di protagonismo. Non era stata una mia idea quella di diventare cappellano in ospedale, né avrei pensato di trovarmi in un vero e proprio campo di guerra. Trovo però un grande conforto nella presenza di tanti amici infermieri e medici, con cui condivido diversi momenti della mia giornata. La loro presenza mi ricorda che non sono solo e che non sono l’unico a rischiare la pelle per portare un po’ di sostegno ai malati . Ci sono i medici, gli infermieri, gli operatori socio sanitari, ma anche tutto il personale delle pulizie e della manutenzione che rischiano ogni giorno di ammalarsi per mettere la propria vita al servizio del prossimo. Tutti loro mi ricordano ogni giorno che Dio è presente, in mezzo a questo tsunami, attraverso il volto di tante persone che, a rischio della propria vita, cercano di salvare quella degli altri.

Come ha fatto Gesù.

don Donato Caridoni, Cappellano Ospedale di Sesto San Giovanni

Pubblicato sul Settimanale della Parrocchia di San Dionigi in SS Clemente e Guido

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