Nella vicenda del coronavirus che sta mettendo in ginocchio l’Italia è insito un paradossale invito "laico" al ritornare in se stessi, alla conversione del cuore. Molte persone sono consegnate all’isolamento e a una sostanziale solitudine, forse per la prima volta nella vita: dato che non sono molti coloro che, in Quaresima e in altre stagioni, si rifugiano nella meditazione e nel silenzio. Per molti, dunque, si tratta di un’esperienza del tutto insolita. Un poco paradossalmente, l’esigenza di garantire la salute delle persone costringe – grazie a una sorta di dimezzata "quarantena", come è quella di due settimane prescritta dai medici – a riflettere su se stessi e ciò rappresenta una sorprendente novità. Quanti sono, infatti, coloro che "di questi tempi", amano il silenzio, riflettono serenamente sulla loro vita, si pongono interrogativi sul proprio futuro?

Lungi dall’augurarsi, per tutti, una forzata esclusione dal "mondo" e una obbligata chiusura in se stessi; non è questa, infatti, la via da percorrere quando si voglia seriamente riflettere sul proprio futuro. Ma, ciò nonostante, è pur lecito chiedersi se queste preoccupate clausure, questi forzati silenzi, non possano portare a guardare in profondità se stessi, al di là degli stordimenti e delle evasioni della "normale" vita quotidiana. Chi pensa seriamente alla vita, al futuro, al camminare nel mondo (e con le proprie gambe, non sfruttando il supporto altrui)?

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