Le notizie sulla diffusione del coronavirus stanno scatenando un inquietante effetto collaterale, in Italia e in altri Paesi: la ripulsa nei confronti di persone di origine cinese e a volte di altri asiatici, la sinofobia. La paura che gli stranieri (specie se poveri) diffondano malattie è antica e radicata. Ne abbiamo avuto recenti prove nel caso degli sbarchi di persone di origine africana, da alcuni additate come portatrici di Ebola, da molti altri tenuti alla lontana per presunti “rischi sanitari”. Ma non c’è stata notizia di vere o presunte epidemie che non abbia sollevato la richiesta di chiusura delle frontiere verso rifugiati e immigrati dal Sud del mondo.
In termini generali, le ricerche sull’argomento, come quelle condotte dalla Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm), segnalano invece che i migranti sono selezionati alla partenza da un punto di vista sanitario: ben raramente famiglie e comunità investono i propri risparmi o s’indebitano per far partire persone malate. Si forma così un effetto definito dagli studiosi “migrante sano”. Sono semmai le condizioni di lavoro e di vita dopo l’arrivo a intaccare la salute degli immigrati.