L’impressionante sequenza di omicidi di massa negli Stati Uniti riporta in primissimo piano una questione scomoda per le società avanzate: il razzismo. Della sua persistenza e delle sue trasformazioni, dei suoi rapporti con il discorso politico, con i social media e con l’inquietudine sociale. Malgrado decenni di sforzi, di misure legislative e di importanti conquiste, il Paese-guida del mondo occidentale non è riuscito a scrollarsi di dosso questo antico fardello. Anzi, ha visto risorgere nel suo composito corpo sociale un suprematismo bianco che ha contribuito alla vittoria elettorale di Donald Trump e al quale il presidente in carica continua ad ammiccare. Per questo gli assassini non possono essere sbrigativamente liquidati come paranoici solitari: hanno attinto la benzina dell’odio dalle cisterne avvelenate di una cultura e di una politica che individua i “diversi” come nemici, s’inventa minacce di sopraffazione per l’uomo bianco, incita alla guerra in difesa di una civiltà superiore e descritta sotto attacco.

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