Per un pugno di like

Il like è il simbolo del nuovo millennio. Quante volte al giorno ci ritroviamo a cliccare su quell’icona con il pollice in alto, spinti da una voglia irrefrenabile di esprimere il nostro consenso riguardo a un determinato argomento? Perché ci risulta così difficile desistere dal premere quel pulsante? Tutto questo se lo chiede il giornalista Simone Cosimi nel suo ultimo libro Per un pugno di like. Perché ai social network non piace il dissenso (Roma, Città Nuova, 2020, pagine 114, euro 16).

Un testo dal titolo originale — che si rifà al celebre film di Sergio Leone, caposaldo del genere spaghetti western, Per un pugno di dollari (1964) — che, «prima di schierarsi contro il like», per citare le parole di Bruno Mastroianni nella prefazione, cerca di comprenderne le dinamiche, interrogandosi, ad esempio, sulla necessità di “nutrire” la rete con informazioni, foto e video, pur di racimolare una manciata di pollici in su. Qualsiasi contenuto che condividiamo sul web, infatti, è sottoposto a un sistema di voto da parte degli altri utenti, il cui obiettivo è quello di giudicarne la validità o il grado di interesse. Si tratta di un sistema di votazione falsato però, dominato da un consenso forzato, poiché nella maggior parte dei casi esclude la possibilità di esprimere dissenso attraverso l’uso di un “dislike”. La condanna dell’autore, dunque, verte sul fatto che «non esiste il “Non mi piace”. Non c’è il cosiddetto “dislike”. Non esiste cioè, per farla breve, un pollice verso. Un elemento grafico che, dal punto di vista logico comunichi agli utenti un messaggio altrettanto chiaro rispetto a quello veicolato dal “mi piace”».

Il volume di Cosimi, ricco di spunti critici su cui riflettere, si pone sulla scia della condanna al digitale mossa dal filosofo sudcoreano e docente all’Universität der Künste di Berlino Byung-Chul Han. Nel suo saggio, intitolato Nello sciame. Visioni del digitale (2015), Han sostiene che la società digitale, quella dello “sciame”, con i suoi “like” di massa, annulla il dialogo e il discorso annientando, così, ogni forma di democrazia. «Quale democrazia è oggi possibile — accusa Han — rispetto a una sfera pubblica che scompare di fronte a una crescente trasformazione egotica e narcisistica? Forse una democrazia con il tasto “mi piace”?». L’assenza di un pulsante che esprima dissenso sarebbe quindi anche la causa per cui la massa non riesce ad agire in maniera coesa di fronte alle problematiche sociali e politiche dei nostri tempi. «Viviamo in una dittatura dell’ottimismo — scrive Cosimi — che ruota fondamentalmente intorno a un principio: chi ha qualcosa di diverso da dire rispetto a un banale pollice alzato deve faticare». E decidere di lasciare un commento sotto a un post per chiarire la propria posizione al riguardo, è decisamente meno appetibile che cliccare su un cuoricino (che spesso sostituisce il “like” come, ad esempio, su instagram o twitter) o su di una delle sue forme alternative, le reactions (come la faccina triste, quella sorpresa o arrabbiata). Così, confusi e frammentati, gli individui si perdono nelle infinite possibilità del web. Uno “sciame” — per utilizzare l’espressione di Han — fatto di singoli la cui unione, a differenza della folla del passato, non è più in grado di produrre alcuna azione concreta volta al cambiamento.

Nel libro — arricchito da tre focus di approfondimento su diversi temi di altri autori — si riflette anche sulla linea sottile tra un’azione apparentemente innocua, come il mettere “mi piace” a un post, e il supporto di movimenti, contenuti e commenti razzisti, fascisti o antisemiti presenti in rete. Molti sono gli interrogativi: quando un post si può ritenere diffamatorio? in che modo la sete di like spinge le persone a modificare il proprio comportamento quotidiano? E ancora, se la piattaforma virtuale è già pervasa dal peggio, come odio, neonazismo, sovranismo bianco, adescamento di minori, stalking e così via, «il problema, allora, è davvero fornire agli utenti l’opportunità di sganciare un sonoro “non mi piace”»?

Un dialogo equilibrato che ci mette in guardia sulle conseguenze che potrebbero scaturire dal nostro prossimo “like”. Charles Bukowski, in Panino al prosciutto, scrive: «Il mio cucchiaio era piegato in modo che se volevo mangiare dovevo impugnarlo con la mano destra. Se lo impugnavo con la sinistra, il cucchiaio era piegato dalla parte opposta rispetto alla bocca. Volevo impugnarlo con la sinistra».

Così, come il protagonista del libro, per abbattere la “dittatura” ottimistica della rete al lettore schiavo delle regole del web, non resta che forzare gli schemi.

di Ilaria Pennacchini

Articolo apparso su Osservatore Romano di Venerdiì 28 Febbraio 2020

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